Nelle società antiche e tradizionali, quelle che Durkheim avrebbe chiamato a solidarietà meccanica[1], la coscienza collettiva e l’identità di gruppo erano forgiate quotidianamente attraverso riti di passaggio e cerimonie collettive che scandivano la vita dell’individuo fino a condizionarne l’esistenza ed esaurire tutte le sue esigenze d’identificazione. L’assunzione dei ruoli era rigida e un senso deterministico di predestinazione plasmava le appartenenze e le sottoappartenenze di ciascun membro della comunità. In effetti, i gruppi erano piuttosto ristretti e il potere socializzante della trasmissione orale particolarmente efficace. Nelle società nazionali contemporanee invece, per definire la coscienza collettiva occorre passare per forme d’identificazione sovraordinate e dispositivi rituali più complessi che si risolvono nella maggior parte dei casi nella rievocazione di fatti storici aventi un grande valore simbolico, intorno cui plasmare il senso di appartenenza nazionale.

Si tratta di quelle pratiche memoriali che celebrano il punto di vista dominante, intorno ad avvenimenti ritenuti centrali nel processo storico di consolidamento della coscienza collettiva nazionale e d’ipostatizzazione politica dello Stato-Nazione. Tali avvenimenti sono oggetto di pratiche memoriali di cui le società contemporanee si avvalgono per rafforzare il senso d’identità collettiva e di appartenenza sociale. Tra memoria storica e identità collettiva si stabilisce un nesso stringente che risulta condizionato dalla possibilità di condividere non solo la storia del gruppo ma anche una particolare versione di essa, quella stabilita e legittimata dal potere. Al contempo, qualsiasi altra versione – o qualunque tentativo di apporre una luce critica sulla narrazione ufficiale del proprio passato – è inibita e resa tabù. È in questo senso che propongo di leggere il significato simbolico e socialmente costruito delle pratiche memoriali come performance politiche di costruzione dell’identità collettiva.

Di seguito saranno proposti due esempi tratti dalla realtà francese[2]. In particolare, saranno messi a confronto due pratiche memoriali distinte fra loro e molto diverse per modi, finalità e grado di spettacolarizzazione e di compartecipazione emotiva. Una prima osservazione è stata condotta partecipando alla Festa Nazionale del 14 luglio, in memoria della famosa presa della Bastiglia che diede inizio alla Rivoluzione del 1789. La seconda cerimonia fatta oggetto di analisi etnografica è temporaneamente precedente ma sarà presentata in un secondo momento avendo deciso, per ragioni teoriche ed esigenze argomentative, di impostare la trattazione secondo un ordine logico piuttosto che cronologico. Si tratta della commemorazione degli attentati di Parigi del sette e del nove gennaio 2015, compiuta a pochi mesi dalla seconda devastante ondata di attacchi terroristici che ha ferito la città, sconvolto il paese e toccato da vicino l’intero mondo occidentale. Tali esempi, di cui saranno opportunamente tracciate le similitudini e le differenze secondo le due osservazioni che ne sono state fatte, non sono stati scelti a caso. Li considero infatti i candidati più adatti a rappresentare i due poli opposti di un medesimo continuum performativo a proposito della costruzione dell’identità collettiva nelle società nazionali contemporanee.

La Fête Nationale Française

fetenationalIstituita con una legge del 1880, la Festa Nazionale francese non sta solo a ricordare la presa della Bastiglia, ma serve anche a rendere omaggio al suo primo anniversario, la cosiddetta Fête de la Fédération, cerimonia di commemorazione realizzata l’anno successivo per inneggiare al tramonto dell’assolutismo dell’Ancien Régime. Una sfilata sugli Champs-Elysées è programmata ogni anno dalle dieci del mattino, dopo lo spettacolare passaggio degli elicotteri militari della Patrouille de France. Prima della parata il Presidente della Repubblica in carica visita e saluta in atteggiamento fiero e solenne i diversi corpi militari che compongono l’esercito francese, sotto gli occhi di pochi volenterosi spettatori venuti di buon’ora per non perdersi gli esordi della cerimonia.

Pian piano però il clima si scalda e le stradine che orlano il celebre e maestoso vialone degli Champs Elysées cominciano a gremirsi di persone di ogni genere, età e provenienza. Cittadini francesi, parisiens o provinciaux, ma anche moltissimi turisti stranieri, si accalcano lungo le transenne, per poi inerpicarsi sulle salite delle strade laterali nella speranza di godere, anche da più lontano, di una buona visuale. Spettatori e attori sono rigidamente separati da una soglia rappresentata dalle transenne che è insieme materiale e simbolica. Il percorso per arrivare all’area predisposta ad assistere alla cerimonia è disseminato di guardie e poliziotti che incanalano il flusso di persone secondo la prassi dei controlli di polizia. Questa dinamica contribuisce a irrigidire la separazione tra spazio scenico e spazio contemplativo. In termini goffmaniani possiamo dire che l’equipe di rappresentazione è distinta dal pubblico in modo univoco e definitivo.

Le prime a sfilare sono le unità di fanteria che marciano a piedi, seguite dall’armata di polizia che sfila a cavallo e dall’armata militare che viaggia invece su i mezzi motorizzati. Verso la fine, i carri armati sono sorvolati dagli elicotteri dell’aeronautica militare. La parata si chiude con la marcia dei pompieri che prosegue tra gli applausi della folla in festa. Durante la cerimonia tutti osservano concitatamente, armeggiando con le apparecchiature fotografiche, i telefonini e i più svariati macchinari di videoregistrazione. Qualcuno si lascia sfuggire un commento o un’esclamazione rivolta al parente, al compagno o all’amico. Il risultato finale è un vociare cacofonico e indistinto, che rimane però flebile e quieto, generando quella torre di Babele delle lingue che è ben nota ai frequentatori più assidui degli spazi pubblici parigini. In silenzio o parlando a bassa voce, il rumoreggiare della folla si fa progressivamente più concitato, rimanendo tuttavia entro i limiti della più rigorosa compostezza. Del resto la conversazione, come modalità d’interazione reciproca, non entra mai a far parte del codice di comportamento collettivo che scandisce la situazione sociale.

Alcune azioni sono esibite con disinvoltura facendo parte di un codice gestuale condiviso. I gesti risultano infatti codificati in un canovaccio ritualizzato e incorporato di movenze predefinite: al passaggio degli elicotteri si punta il dito al cielo enfatizzando l’indicalità del gesto con il naso rivolto all’insù. Spesso al gesto si unisce un’intonazione di sorpresa. I bambini sono particolarmente incitati dagli adulti a ripetere e imitare questo linguaggio del corpo. L’istanza didattica si fa visibile soprattutto in una pantomima gestuale teatralmente esibita nell’intento di trasmettere un vero e proprio corpus di tecniche del corpo predisposte a definire e incanalare un’espressività emotiva normalizzata, caratterizzata dalla tonalità timica dell’entusiasmo e della sorpresa. Questo tecnicismo corporeo raggiunge poi l’apice al passaggio degli aerei che disegnano il tricolore francese aprendo uno squarcio nell’intenso cielo di luglio.

D’un lato all’altro della transenna, le azioni e le reazioni sono scandite da un rigido andamento rituale a cui tutti danno il loro tacito assenso. Questa configurazione è tale per cui non si percepiscono grandi differenze tra nativi e forestieri[3]. Tutti si rapportano all’evento come si fa con un monumento il cui valore storico è condiviso e considerato patrimonio universale. Tutti portano una bandierina plastificata con i colori della Francia stampati a bassa risoluzione sopra un supporto plastificato; tale oggetto rituale, distribuito dai volontari dell’armata di terra, funge da marchio simbolico che identifica gli spettatori passivi distinguendoli dagli attori, protagonisti della cerimonia. Che siano francesi o stranieri, parigini o forestieri, turisti o abitanti del luogo, gli spettatori si attengono tutti allo stesso codice comportamentale, calibrando i propri atti e i propri gesti su quegli altrui in un’interazione distale reciprocamente guardinga, in cui nessuno osa mai davvero invadere lo spazio dell’altro o cedere il passo all’invasione del proprio[4]. In questo contesto la postura nei confronti della cerimonia assume una mera funzione estetica e questo è funzionale agli scopi impliciti del rituale.

14-juilletSe la spettacolarizzazione della potenza militare messa in scena dalla parata non riesce nell’intento di spogliare definitivamente gli armamenti e le effigi militari del loro contenuto intrinsecamente bellicoso, vero è che i contenuti aggressivi inevitabilmente rievocati sono momentaneamente rimossi nel limitato spazio del cerimoniale, grazie alla messa in atto di un preciso dispositivo rituale che estetizza la violenza trasformandola in finzione scenica e teatrale. Il patriottismo insito della sfilata militare è così disinnescato dalla spettacolarizzazione della potenza nazionale rappresentata dalla bellezza delle sue armate. Si assiste a un’estetizzazione della guerra che ha lo scopo di nobilitarne l’essenziale violenza, per affermare la necessità di difendere la Nazione e i principi di legalità cui essa si richiama, affermando la legittimità militare e cementificando il senso di coesione nazionale. Non a caso sono i pompieri a essere applauditi più degli altri; i vigili del fuoco, infatti, privi degli attributi di attacco e di violenza tipici delle altre formazioni, incarnano i valori di difesa, coraggio e sacrificio senza compromettersi troppo con i tratti semiotici dell’assalto e della guerra. In definitiva, l’ideologia patriottica è come depotenziata dal dispositivo rituale, ma in esso non sparisce del tutto trasformandosi invece in una specie di edonismo estetico della forza nazionale.

A fronte del pieno e tacito consenso del valore estetico della cerimonia, la compartecipazione emotiva è pressoché assente e ciò limita la possibilità di maturare un profondo senso di condivisione collettiva dell’esperienza rituale. Del resto tale istanza non fa parte degli intenti della cerimonia: la singolarità di ciascuno non è centrale poiché la Festa Nazionale non serve a ridefinire ruoli e a tessere identità, siano esse individuali o collettive, ma solo a spettacolarizzare un’adesione ai principi nazionali che preesistono alla cerimonia stessa. Gli spettatori abdicano momentaneamente alla loro individualità perché la dinamica della performance cerimoniale non richiede loro alcun altro contributo che l’espressione codificata di un concitato edonismo contemplativo. Essi prendono parte alla performance più come personaggi che come persone, figure astratte e puramente formali di una configurazione rituale che assume i tratti della spettacolarizzazione teatrale.

Note

[1] Émile Durkheim, De la division du travail social, PUF, Paris, 1893, p. 145.

[2] Il concetto di Nazione è basato sull’identificazione ideologica tra un gruppo, culturalmente e linguisticamente omogeneo, i cui membri si percepiscono come parte di un unico popolo, e il territorio su cui è stanziato e di cui percepisce un senso di proprietà originaria; questo territorio, inoltre, secondo gli ideali democratici, è delimitato dai confini nazionali entro cui il potere dello Stato esercita la sua autorità che idealmente trae origine e legittimazione dal consenso popolare.

[3] I turisti, in particolare, sono particolarmente attratti dalla festa e non si lasciano scappare l’opportunità di vivere quest’esperienza per collezionare un souvenir del viaggio unico e irripetibile. Per il turista compulsivo, tutto preso dalla pratica ansiogena della foto-ricordo, mettersi in posa vicino ai militari o ai carri armati, o farsi un selfie di fianco alle transenne al passaggio della sfilata, è un’esperienza funzionalmente e simbolicamente identica a quella di farsi scattare una foto accanto alla Tour Eiffel o mentre cammina davanti all’Arc du Triomphe. La partecipazione alla Festa Nazionale e l’energia spesa a immortalare l’evento rientrano quindi a pieno titolo tra le urgenze istituzionalizzate del turismo culturale alla scoperta del patrimonio storico-artistico della capitale francese.

[4] Questa trama comportamentale non prevede modalità di espressione dell’opposizione al valore positivo della Nazione; non è logicamente possibile né praticamente attuabile alcuna istanza dissenziente se non l’eventuale rifiuto di partecipazione che tuttavia, in quanto azione invisibile e negativa o negazione stessa di un’azione, non può dare voce ad alcun malcontento che sia minimamente percepibile.

 

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