In una sequenza di The Invisible Ray (Il raggio invisibile, 1936) diretto da Lambert Hillyer ed interpretato da due eminenti figure attoriali quali Boris Karloff e Bela Lugosi, troviamo un’immagine sorprendentemente paradigmatica: si tratta della sequenza nella quale il Dottor Benet, interpretato da Lugosi, scatta la foto ad un cadavere. L’immagine svela, nella sua profondità, il riflesso dell’assassino, che è rimasto impresso nelle pupille della vittima. Crimine e colpevole, causa e conseguenza, uniti come due realtà talmente antagoniste da apparire necessariamente unite l’una a l’altra. L’occhio testimonia e svela il proprio carnefice, il quale resta impresso come centro causale (occulto) del suo “operato”.

Attraverso questa immagine possiamo collegarci ad un regista autenticamente contemporaneo, David Lynch, ed in particolare ad una sequenza dell’episodio Pilot / Northwest Passage della fortunata serie Twin Peaks.

Chi ha ucciso Laura Palmer? Da questo interrogativo centrale che da inizio alla narrazione, Twin Peaks costruisce, non solo la storia di un’investigazione poliziesca, ma anche la cronaca di un intero popolo che emerge dal cadavere ed in concreto dal suo stesso sguardo.

Ci troviamo nella stazione di polizia dove l’agente Dale Cooper (Kyle MacLachlan) interroga i possibili sospettati dell’assassinio della ragazza, facendogli osservare un video che ritrae Laura negli ultimi giorni di vita.

Il nastro con il video di Laura – immagine dentro un’immagine – riflette a sua volta una terza immagine che si può captare da un’attenta osservazione dell’occhio della ragazza e che lascia intuire l’autore della registrazione, nuovo elemento verso il quale si dirigeranno a partire da questo momento le indagini.

Accantonando per un istante questa sequenza, consideriamo necessario trattare brevemente le caratteristiche di ciò che definiamo montaggio proibito teorizzato da André Bazin.

Lo si definisce tale ogni volta che “l’essenziale di un avvenimento dipende dalla presenza simultanea di due o più fattori dell’azione […] Esso riprende i suoi diritti ogni volta che il senso dell’azione non dipende più dalla contiguità fisica, anche se essa è implicata[1]. Il montaggio sarà proibito ogni volta che la situazione  reale – o meglio, la situazione referenziale dell’avvenimento diegetico in questione – risulti essere “molto ambigua”.

Non si tratta di un’esaltazione del piano sequenza a discapito del montaggio, ma la constatazione teorica che in alcuni casi una singola inquadratura, una singola immagine, può costituirsi come unità narrativa di spazio e luogo.

Il cinema classico, al contrario, ricercava la continuità e l’omogeneità spazio-temporale, idea strettamente legata alla nozione di raccordo, che si potrebbe definire come “ogni cambiamento di piano insignificante in quanto tale, ossia come ogni figura di cambiamento di piano in cui ci si sforza di preservare, da una parte all’altra della giunta, degli elementi di continuità[2].

Grazie a David Lynch invece, possiamo comprendere come si possa realizzare una inquadratura che unifichi senza ricorrere al montaggio un “campo” e un “controcampo” consustanziali.

Nella sequenza citata di Twin Peaks, Lynch offre un’immagine perfettamente sintetizzata tra la modernità e il classicismo, partendo, inoltre, da un formato contemporaneo che è quello televisivo.

La struttura speculare dell’“inquadratura dentro l’inquadratura” (il video di Laura proiettato nel televisore del commissariato di polizia) acquisisce una funzione di complementarietà, in quanto una delle “cornici” rivela ciò che l’altra insiste ad occultare. Ciò che un’inquadratura esclude, l’altra recupera. Si tratta, come spiegava Dällenbach, di “annullare l’antitesi tra ciò che è esterno e ciò che è interno, tra il narrato e l’omesso[3].

Questa capacità di unire in una stessa inquadratura le categorie del visibile e dell’invisibile risulta essere utile nei casi in cui un’immagine ed il suo controcampo non possono essere slegate essendo entrambe parte dello stesso avvenimento.

La presenza quindi della “cornice” come elemento di separazione/mediazione, servirebbe a mantenere intatta questa premessa: dissociando elementi opposti in quanto a visibilità, ma riunendoli allo stesso tempo in una sola immagine e presentandoli come due successioni indissociabili di una stessa realtà.

La proiezione en abyme dell’occhio di Laura Palmer rivela, come in The Invisible Ray, un’immagine del presunto assassino, senza però identificare in quella immagine un individuo in concreto, ma permettendo l’apertura verso gli eventi successivi della serie. Al primo piano dell’occhio sul monitor segue l’immagine di una motocicletta attraverso una dissolvenza incrociata e che ritarda la risoluzione del caso. Spiega in questo senso Michael Chion: “Inaspettatamente, la formula ad episodi rappresentò per Lynch un modello di libertà strutturale: poter lasciare dei personaggi e ritrovarne altri. […] Questa formula consente inoltre una grande licenza narrativa – la possibilità per Twin Peaks di continuare all’infinito, ad esempio senza mai rivelare l’autore dell’omicidio di Laura Palmer, sembra aver affascinato molto Lynch –, ci si ricordi a questo proposito dei finali aperti o tendenzialmente infiniti di Eraserhead o di  The Grandmother[4].

Basandoci dunque su questa idea descritta da Chion possiamo affermare che l’immagine di Laura Palmer proiettata sullo schermo del televisore della stazione di polizia presuppone la soluzione del caso, ma si tratta di una soluzione che Lynch ha voluto rendere eternamente prolungata e che può essere data attraverso infinite immagini.

Come affermò lo stesso regista: “La televisione è un teleobiettivo, mentre il cinema è un grandangolo. Al cinema si può mettere in scena una sinfonia, mentre in televisione ci si deve limitare a un cigolio. Unico vantaggio: il cigolio può essere continuo[5].

In questo modo, l’assassino di Laura Palmer può essere svelato solo attraverso un’intera popolazione, attraverso Twin Peaks in quanto comunità e in quanto serie. È proprio in questa direzione che l’occhio di Laura ci dirige; verso questa immagine che non poteva essere più causale, più sguardo, più piano/contropiano dentro a una stessa inquadratura e che mette a confronto la vittima e il suo assassino. Un’immagine che viene dal passato, testimonia nel presente e si apre infinita verso il futuro. Forma canonica di Lynch per definire appieno il senso dell’immagine attraverso il confronto con modello classico, e allo stesso tempo, offrirla talmente dilatata e indeterminata, talmente sospesa nel tempo da avvicinarsi a un André Gide, a un Michelangelo Antonioni o un Roman Polanski.

Note.

[1] Bazin, A., Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano, 1999,  p. 72.

[2] Ivi, p. 76.

[3] Dällenbach, L., El relato especular, Visor, Madrid, 1991, p. 44.

[4] Chion, M., David Lynch, Lindau, Torino 1995, p. 119.

[5] “Libération”, 5 giugno 1992; intervista con David Lynch, a cura di Arnaud Viviant in Chion, M., David Lynch,  Lindau, Torino, 1995, pp. 118-19.

 

Roberta Vannini si è Laureata in Scienze della Comunicazione all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ed ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo e della Produzione Multimediale presso lo stesso Ateneo. Ha conseguito successivamente il Master in Estudios de Cine y Audiovisuales presso Universitat Pompeu Fabra - Barcelona con un lavoro sulle “Sopravvivenze delle cultura napoletana arcaica attraverso le implicazioni del concetto di ab-gioia pasoliniana”. I suoi campi d’interesse comprendono l’antropologia culturale e delle culture popolari e la sociologia dei mezzi di comunicazione.

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