Il libro di Francesco Postorino ha l’indubbio merito di puntare il riflettore su Carlo Antoni, filosofo triestino, discepolo – sui generis – di Benedetto Croce, figura importante del pensiero italiano del secolo scorso su cui, al pari che su altri protagonisti della scena filosofica segnata dall’idealismo italiano, è caduto negli anni un velo di oblio, che va oggi aprendosi grazie a un rinnovato interesse per il pensiero italiano. Un altro merito è quello di allargare il pantheon del Pensiero (con la P maiuscola) liberale italiano, troppo spesso ridotto al confronto più che ventennale tra Croce ed Einaudi, con qualche sconfinamento nell’opera di Guido Calogero. Pensiero in cui Carlo Antoni, al pari di altri filosofi, ricordati nel testo, entra a pieno diritto.
Il titolo del lavoro di Postorino potrebbe dare l’idea di un trattato recante ad unico oggetto la ricostruzione del pensiero e dell’azione di Antoni in ambito politico. Non è così. Certo, la riflessione politica di Antoni vi occupa una parte importante, ma, a ben guardare, minoritaria rispetto alla ricostruzione del suo pensiero filosofico tout-court.
Il libro si divide in due parti, la prima dedicata alla ricostruzione del pensiero filosofico di Antoni, la seconda all’esposizione della sua riflessione più strettamente politica. In entrambe è costante il tentativo di mettere a confronto le posizioni di Croce, il maestro, e Antoni, il discepolo. Un esercizio che Postorino compie attraverso l’intero spettro della riflessione di Antoni, partendo dall’estetica, passando poi per economica e logica, fino ad arrivare al liberalismo, che costituisce l’approdo ultimo del libro. Il risultato è un quadro d’insieme in cui emergono tanto il rapporto di filiazione, quanto le profonde divergenze che legavano i due filosofi, destinate a raggiungere il loro culmine nell’interpretazione dell’idea liberale. Un esercizio ben riuscito, in cui Postorino enfatizza la derivazione crociana del liberalismo di Antoni, minimizzando l’influenza della lezione einaudiana.

Nonostante l’autore punti l’attenzione sul crocianesimo implicito nell’interpretazione antoniana dell’idea liberale, non si lascia sfuggire le differenze che che segnano le due filosofie. In particolare, la tesi di Postorino è che, a un Croce in cui la libertà è «diretta dall’accadimento», si contrapponga un Antoni il cui la «regia [del liberalismo] spetterebbe all’uomo», insomma: «filosofia delle libertà» contrapposta a «filosofia del liberalismo» (p. 107). Senza dubbio l’accadimento ha in Croce un ruolo fondamentale, non solo nel pensiero, ma anche nell’azione politica. Altrettanto vero è che in Croce sia la storia, e non l’individuo a occupare il posto d’onore. Una storia “divinizzata”, come scrive Postorino. È, tuttavia, vero anche che in questo autore la libertà è il vero motore dell’azione politica – si pensi, ad esempio, alle straordinarie pagine dell’Epilogo della Storia d’Europa nel secolo XIX, in cui Croce si spinge fino a profetizzare un’unione spontanea dei popoli europei portati sulle ali di quella libertà che aveva spiccato il suo volo alla fine dell’avventura napoleonica. Una libertà che ha carattere religioso ed è, pertanto, da declinarsi al singolare, con una caratterizzazione tanto fortemente culturale e metapolitica che rendono, nel panorama del pensiero politico crociano, estremamente complesso, per non dire impossibile, ogni tentativo di fuoriuscire dal paradigma ottcentesco dello stato liberale. Bisogna, dunque, notare che, sebbene sia perfettamente comprensibile sul piano filologico, ed anche molto ben svolta, la ricostruzione fornita da Postorino dell’articolarsi della libertà in tutti gli ambiti della filosofia crociana, essa non riesce, a mio parere, a rendere pienamente convincente la scelta di declinarla al plurale.

Pienamente convincente e condivisibile è, invece, l’accento posto fortemente sul carattere metapolitico del liberalismo crociano. Carattere che dà ragione della divergenza d’opinioni non solo con Antoni, ma più in generale con un’ampia fetta di giovani intellettuali che, all’indomani della Seconda guerra mondiale, non riuscivano più a trovare pienamente soddisfacente la lezione crociana. Su questa base sorge quella che è forse la più importante presa di distanza di Antoni da Croce. Andando contro l’idea del filosofo napoletano, che voleva assegnare al Partito Liberale un ruolo quasi metapolitico, da «pre-partito», Antoni afferma che «un partito non può fare della metapolitica, bensì deve fare della politica concreta, empirica» (p. 138). Si tratta, in fondo, non solo di due pensieri, ma anche di due mondi che si fronteggiano, e in cui un ruolo è senz’altro giocato da stimoli che ad Antoni giungevano da altri pensatori. In definitiva, se il liberalismo di Antoni finisce per mostrarsi «non Crociano» nel momento in cui «rifiuta la dimensione normativa dell’accadimento» (ibidem), il suo crocianesimo risulta invece evidente dalla considerazione del liberalismo come «valore», l’unico capace di «elevare l’uomo alle vette della moralità» (p. 112), e che quindi si caratterizza come istanza spirituale.

Quella che risulta dal bel lavoro di Postorino è, dunque, la figura di un Antoni in bilico tra politico e metapolitico, in cui – come mette bene in evidenza Postorino – l’elemento spirituale di matrice Crociana riemerge, e gioca un ruolo non secondario, anche nella scelta di abbandonare il Partito Liberale per aderire ai Radicali di Pannunzio. Leggendo le pagine di Postorino, dunque, si riesce ad avere non solo uno sguardo approfondito – che costituisce il merito principale del libro – sulla figura di Carlo Antoni, ma anche uno sguardo d’insieme su un dibattito e un milieu culturali che devono oggi essere rivalutati. Operazione a cui l’autore dà un contributo importante.

 

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