L’ultimo film di Andrzej Wajda, il testamento spirituale che il regista polacco ha voluto lasciare al grande pubblico prima della sua scomparsa, narra la storia e la figura di uno dei più grandi pittori avanguardisti, Władysław Strzemiński (1893-1952), interpretato da Boguslaw Linda. Afterimage (titolo originale Bowidoki), presentato nel 2016 al 41esimo festival internazionale di Toronto e candidato per la Polonia all’Oscar, rende omaggio a una personalità simbolica dell’epoca comunista, che ― nonostante, e grazie al continuo dialogo con gli avvenimenti del proprio tempo ― fa dell’arte un messaggio e uno strumento di resistenza spirituale. Il film di Wajda prende in esame gli ultimi anni della vita di Strzemiński, quando l’artista elaborò la propria “Teoria della visione”, una scelta che il regista così motiva: “Da molto, da anni volevo occuparmi di un pittore che, nel 1949, abbandona l’Accademia di Belle Arti di Cracovia per andare a studiare alla Scuola di cinema di Łódz. Sentivo di doverlo fare. Spero che la figura di Władysław Strzemiński mi permetta di portare sullo schermo il destino di uno dei più consapevoli artisti polacchi e il suo conflitto con le autorità. Gli dette la forza di opporsi al potere proprio la consapevolezza della strada che deve percorrere l’arte dei nostri tempi, e che Strzemiński espresse nel suo libro Teoria widzenia (Teoria della visione, 1958): la certezza che non esista altra strada che l’astrattismo, dal momento che la pittura tematica e il postimpressionismo hanno già detto tutto quello che dovevano. Ho fatto un ritratto di un uomo inflessibile, sicuro di una sua strada che percorse per tutta la vita, dedicandosi ad un’arte non per tutti. Un insostituibile pedagogo, creatore nel 1934 del, secondo in Europa e nel mondo, Museo di Arte Contemporanea, a Łódz”. Wajda decide di ambientare il film negli anni 1949-1952, epoca più buia della sovietizzazione della Polonia, in cui il “realismo socialista” diventa vincolo ed espressione obbligata di qualsiasi forma artistica. Mettere a tema la celebrazione dell’arte come cultura delle classi proletarie e inno al progresso del periodo comunista, risulta a detta del regista una mossa efficace, una testimonianza necessaria e interessante per lo spettatore contemporaneo, poco abituato a essere recettore di questo genere di film da parte del mercato cinematografico polacco.

Afterimage ripropone dei motivi che dettano i toni anche dei precedenti film di Wajda, riconoscibili da chi è familiare con questo regista, ancora non del tutto considerato e apprezzato dalla critica e dal pubblico, per il suo stile forse poco usuale e gli argomenti controversi.  La denuncia politica in Wajda si mescola a dei drammi storici e personali, ma soprattutto a immagini letterarie e artistiche russe e polacche. In questo senso, il film intende esporre gli ideali incarnati ed elaborati da Strzemiński con la sua opera e i suoi scritti. La “teoria della visione” rappresenta il nucleo tematico del film, e vuole trasmettere la convinzione della necessità di una coscienza personale, “visuale”, e quindi profetica, nella percezione della realtà.

Pur accettando la concezione dialettica della storia così come di una correlazione tra condizionamenti e attitudini sociali e percezione, Strzemiński afferma la possibilità che l’arte raggiunga la forma “pura” attraverso un processo di presa di coscienza nell’atto della visione. Dunque, in accordo con la linea modernista ― di fatto dal 1919 l’artista inizia un rapporto di collaborazione col noto esponente dell’astrattismo geometrico Kazimir Malevič ― si fa propugnatore di un formalismo che d’altro canto non cessa di valorizzare la “personalità” dello sguardo. La visione nella sua base è fisiologica, dettata dall’unicità della sensazione, la qual cosa preserva un elemento di creatività al di dà dell’apprendimento tecnico e della comprensione intellettuale. Tuttavia, Strzemiński è consapevole di quanto la creatività vada di pari passo con lo sviluppo della coscienza personale nella comprensione del mondo. Questo fa sì che tra il 1949 e il 1952, l’artista sviluppi una nozione di “realismo” che ben si allontana dall’ideologia del realismo socialista vigente; travolto e non impermeabile al “vento della storia”, il pittore non cede all’idea “collettivista” e utilitarista dell’arte, proprio per questo generando un seguito speciale, a quel tempo fastidioso, tra i suoi studenti ― di cui Wajda vuole sottolineare una disponibilità al compromesso umano, con la “verità”, che diventa inevitabilmente politica.

Afterimage rappresenta una buona occasione per rivisitare i film di Wajda, che probabilmente, condividendo il destino di altre grandi opere, attendono di essere pienamente compresi e valorizzati dal grande pubblico.

 

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