“The black mirror knows no reflection It knows not pride or vanity
It cares not about your dreams It cares not for your pyramid schemes”

Arcade Fire – Black Mirror

Black Mirror è lo specchio oscuro. Il vuoto, il buio, l’abisso che inghiotte. È l’impossibilità di guardare se stessi, di ritrovare i propri occhi nell’immagine, come Dracula allo specchio senza riflesso. È l’annullamento nichilista di ogni vanità, di ogni ambizione e sogno, è il rovescio delle cose, il loro lato terribile e temibile.

Ma Black Mirror è anche un racconto, una visione sul futuro, sugli scenari impossibili e perturbanti, sulla società, sulla storia e sull’antropologia. È l’oscuro scrutare nell’immaginario collettivo, un viaggio nella paranoia e nelle ansie di un’epoca ipertecnologica. A mappare questo viaggio nel riflesso/non-riflesso di un prodotto seriale come quello creato da Charlie Brooker, c’è uno strumento necessario al fine di individuare e a decriptare gli infiniti rimandi che la serie offre. È il volume “I riflessi di Black Mirror: Glossario su immaginari, culture e media della società digitale”, a cura di Mario Tirino ed Antonio Tramontana ed edito da Rogas Edizioni. Diciassette autori per un’opera collettanea composta di altrettanti indizi e letture; diciassette punti intercettati che vanno a costituire l’universo rizomatico della serie che si articola tra sguardi distopici sul futuro e prospettive iperrealistiche sul presente. Algoritmo, Atmosfera, Audience, Corpo, Democrazia, Esperienza, Illusione, Interazione, Memoria, Morte, Paranoia, Pathos, Paura, Schermo, Serialità, Tecnica, Zootecnica. Sono le parole chiave attraverso cui si dipana la matassa, le coordinate indispensabili per muoversi nel rovescio dell’utopico ed arrivare alla fine con una nuova consapevolezza sull’universo immaginativo possibile.

Il volume di Tirino e Tramontana è dunque una mappa e, in quanto tale, in continuo possibile aggiornamento. Come più volte sottolineato dagli stessi curatori, esso si configura come una monade, un’opera non conclusa capace di racchiudere in sé lo spirito di un tempo, lo zeitgeist, che ne misura le ansie e le tensioni eversive. È uno sguardo sull’uomo che riflette diversi tipi di approcci alla materia: dalla sociologia dell’immaginario e della comunicazione, all’estetica dei media, all’antropologia e alla mediologia, l’indagine si articola secondo metodologie differenti eppure complementari tra loro e necessarie alla stesura di un testo unico, organico e forte.

Prodotto nel 2011 per le prime due stagioni dall’emittente privata inglese Channel 4 e successivamente rilevato da Netflix per altre due stagioni (ed una terza in produzione), Black Mirror incarna perfettamente i concetti della post-serialità affrontando le tematiche del post-umano e “post-immaginario” creando, come scrivono i due curatori ripresi da Alfonso Amendola nella lucida e puntuale prefazione, “un universo frastagliato di protesi e forme di relazioni rappresentate in chiave distopica”. Il disturbo e la distorsione compongono in questo senso il fil rouge che, episodio dopo episodio, percorre tutta la serie e conduce ad una rottura sempre più profonda dell’individuo con la collettività. Ogni episodio inteso come una narrazione autoconclusiva si incentra su una tecnologia o un aspetto della realtà, analizzandolo nel dettaglio, sezionandolo per particolari, arrivando a definire atmosfere, personaggi e situazioni uniche che caratterizzano uno stato d’animo peculiare. Pertanto, come in una struttura ad albero, le tematiche della realtà si ramificano in una serie di evoluzioni. Dallo svelamento del lato umano, o troppo umano, della politica, alla fame di successo, al sentimento potente della nostalgia che attanaglia un’intera epoca storica, all’estremizzazione del dato tecnologico che pervade il quotidiano.

Momenti differenti che però appartengono ad un’unica radice reale e potenzialmente plausibile. Una poetica ed un’estetica della distopia che risale nelle sue origini al XIX secolo, e nasce non dall’inquietudine per l’eventuale instaurarsi di un regime politico, ma dal terrore suscitato dalle possibilità del macchinismo, delle scienze e delle tecniche; dall’estensione di un materialismo senz’anima che mette in questione il significato di una civiltà edificata a spese dell’umano, e che ottiene la «felicità» con l’incoscienza e con la meccanizzazione dei comportamenti (Trousson 1993: 27; Troianiello 2015). Se nell’Ottocento la distopia è portavoce delle ansie derivate dall’industrializzazione e dalle apparenti infinite possibilità della scienza, nel secolo breve essa rispecchia, in due momenti storici differenti, tanto le paure dovute all’ascesa dei nuovi totalitarismi europei tanto il terrore della bomba atomica, la guerra fredda e la possibilità di una guerra nucleare. Così, sulla linea d’onda dei grandi eventi percepiti come minacce, all’alba del ventunesimo secolo ancora una volta la distopia si fa misura di ansie e paranoie derivate dall’iperconnessione a cui l’individuo volontariamente (o forse solo apparentemente, come appunto il genere narrativo da essa generato ci suggerisce) si sottopone.

È in questo contesto di cambiamento e modifica delle strutture societarie che bisogna intendere gli scenari che vanno costituendosi nell’immaginario degli universi narrativi riproposti. Ambienti che si modellano sulle necessità suggerite dalla condivisione, rapporti mediati principalmente attraverso schermi, architetture ultra adattabili a misura d’uomo che si fanno strumenti di controllo. Come gli uomini infami di Foucault, le storie dei personaggi di Black Mirror delineano una serie di episodi appartenenti a vite in qualche modo condannate, destinate a vivere in un contesto dove la tecnologia sovrana è percepita come una compresenza di mistico e politico, dove le strutture del potere sono costruite attraverso giochi di specchi riflessi. In questo universo oscuro, ultra-mediato e connesso, composto di narrazioni ma anche e soprattutto di grandi produzioni, audience e fandom, il volume “I riflessi di Black Mirror” riesce a riproporre un’istantanea nitida di ogni elemento caratterizzante questo mondo. Un’intensa rilettura di una serie che rappresenta il grado zero, la sparizione del reale per eccesso di realtà di Baudrillard (ripreso in modo sapiente anche da Tarquini nel capitolo Illusione), un’antologia raffinata della catastrofe del capitalismo all’interno della quale siamo tutti coinvolti.

Riferimenti

Baudrillard, J. 1979: Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli.

Baudrillard, J., 1981: Simulacres et simulation, Paris, Galilée.

Colombo A., 1993 (a cura di), Utopia e Distopia, Dedalo, Bari.

Michel Foucault, 2009, La vita degli uomini infami, Il Mulino, Bologna.

Troianiello, N., 2015, “The Walking Dead: la distopia del nuovo millennio”, in Endo Apocalisse. The Walking dead. L’immaginario digitale, il post-umano, a cura di Frezza L., AreaBlu Edizioni, Cava de’ Tirreni.

Trousson R., 1993, La distopia e la sua storia, in Colombo 1993.

Novella Troianiello è dottore di ricerca in Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Salerno. Visiting PhD Student presso l’University of Nottingham (UK), collabora con le cattedre di Sociologia degli Audiovisivi Sperimentali e Sociologia dei Media Classici e Digitali presso l’Ateneo di Salerno e con la cattedra di Cinema e Televisione dell’Università telematica E-Campus. Si occupa principalmente di Media Studies, con un’attenzione particolare verso gli immaginari televisivi e le culture del digitale. Tra le sue pubblicazioni: #Likeforlike: Categorie, strumenti e consumi nella social media society, con Alfonso Amendola e Simona Castellano, To the centre of the city in the night waiting for you. Centro e periferie nella cultura post-punk inglese (2018), Ipertesti, Tranmedia e Nostalgia: S., La nave di Teseo di V.M. Straka di J.J. Abrams e Doug Dorst (2017), The Walking Dead: La distopia nel nuovo millennio (2015), Internet Where All Happens (2015).

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