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Boris Groys

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Boris Efimovich Groys (Berlino, 1947) insegna Estetica, Storia dell'arte, e teoria dei media presso il Centro di Arte Media e Teoria di Karlsruhe, Germania, ed è Global Professor alla New York University negli Stati Uniti. La presente traduzione di Giovanna Colautti, tratta dal volume "In the flow" (Verso, 2016) è stata autorizzata dall'editore italiano Postmedia Books, che nel 2018 ha curato una traduzione italiana integrale dell'opera.

WikiLeaks: la rivolta dei “chierici” o l’universalità come cospirazione

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Premessa
(di Giovanna Colautti)
Nel 1985 usciva il film Brazil[1], nel quale il regista Terry Gilliam ci apriva le porte a un mondo distopico controllato da un governo totalitario basato sulla burocrazia. La città del protagonista era circondata da condotti ben visibili in ogni angolo. Condotti strettamente legati al Ministro delle Informazioni che sorvegliava ogni cittadino e non tollerava polemiche e insurrezioni: ogni tentativo di protesta veniva soffocato in maniera unilaterale non lasciando al cittadino la possibilità di difendersi e di comprendere come i suoi dati venissero costantemente carpiti e analizzati. Un film di fantascienza distopica all’epoca, ma non sono questi condotti parte della vita odierna? Non visibili, ma nascosti nelle nostre case, nei nostri computer, smartphone, tablet, negli oggetti che sono entrati nella vita quotidiana e che offrono libertà in cambio di controllo e sicurezza? La società odierna si ritrova ad affrontare continuamente uno scontro tra queste sue stesse creazioni. Tale binomio sopravvive in un equilibrio precario che può ritrovarsi disgregato per leggeri spostamenti di tensione. Se, da un lato, la libertà è frutto di un’analisi della figura umana e del suo inserimento nella società, dall’altro la sicurezza sopraggiunge a protezione della suddetta libertà. Ma quando vi è troppa libertà, non vi è sicurezza? E quando vi è troppa sicurezza, non vi è libertà? Se già a livello socio-politico tale dilemma risulta di difficile risoluzione, a livello di media e in relazione alla nuova società creatasi con l’avvento di Internet appare ancora più ostico il raggiungimento dell’aequilibrium. Una relazione di διχοτομία che si manifesta sempre più chiaramente nella nostra realtà.

Nel flusso artistico e tecnologico continuo che caratterizza la società moderna, Groys individua in WikiLeaks un fenomeno particolare che cerca di reintrodurre l’universalismo attraverso l’accesso[2] libero a informazioni classificate. Un nuovo concetto di universalismo che divide l’umanità a livello spirituale, ideologico, culturale e politico, ma, contemporaneamente, la unisce a livello di informazione e di tecnica[3]. È così che il flusso tecnologico va a unirsi al flusso artistico, carattere portante della società odierna, creando delle soggettività senza identità.
Proponiamo di seguito la traduzione di un estratto del Capitolo 11 di In the flow[4] di Boris Groys, precisando che tale traduzione risulta parzialmente ridotta ed è diversa dall’edizione Postmedia Books, reperibile su: http://www.postmediabooks.it.

 

BORIS GROYS

WikiLeaks: la rivolta dei “chierici”
o l’universalità come cospirazione

(traduzione di Giovanna Colautti)

Nella nostra epoca, siamo ormai abituati alle proteste e alle rivolte in nome di identità e interessi particolari. Le rivolte in nome di progetti universali, come il liberalismo o il comunismo, sembrano appartenere al passato. L’attività di WikiLeaks non è al servizio di identità o interessi specifici, preferisce, invece, avere un obiettivo generale, universale: quello di garantire il libero flusso di informazione. Per questo motivo, tale fenomeno segna una reintroduzione dell’universalismo nel campo politico e ciò, di per sé, rende l’emergere di WikiLeaks un fatto altamente importante. La storia ci ha insegnato che solo i progetti universalistici possono portare a un cambiamento politico reale, e WikiLeaks segna non solo il ritorno all’universalismo, ma anche la profonda trasformazione che la nozione stessa di universalismo ha subito negli ultimi decenni. WikiLeaks non è un partito politico, non offre una visione universalistica della società, un programma politico o un’ideologia volta all’unificazione “spirituale” o politica del genere umano. Piuttosto, offre un insieme di strumenti tecnici che permetterebbero l’accesso universale a ogni contenuto specifico e particolare. L’universalità delle idee viene qui sostituita con l’universalità dell’accesso: non viene proposto un progetto politico universalistico, ma un servizio d’informazione universale, il cui ethos corrisponde a quello del servizio civile ed amministrativo, globalizzato ed universalizzato.

Nella sua famosa opera La trahison des clercs (1927), Julien Benda descrive correttamente questo ethos assieme a una nuova classe universale caratterizzata dallo stesso e chiama “chierici” (clerk) i membri appartenenti a tale classe. La parola clerk viene spesso tradotta con “intellettuale”, anche se, in realtà, l’intellettuale per Benda è il traditore dell’ethos del chierico, in quanto preferisce l’universalità delle sue idee alla missione del servizio universale. Il vero chierico non si dedica a una particolare visione del mondo, nemmeno quella più universale, piuttosto serve gli altri aiutandoli a realizzare le loro idee o i loro obiettivi particolari. Secondo Benda, il chierico è primariamente un funzionario, un amministratore nel contesto di uno stato illuminato e democratico governato dalla legge. Ciò nonostante, al giorno d’oggi il concetto di stato ha perso l’aura di universalità che ancora possedeva all’epoca di Benda. Lo stato, anche se organizzato internamente nella maniera più universalistica, rimane un’istituzione nazionale i cui chierici, malgrado l’ethos universalistico, sono necessariamente inseriti negli apparati di potere che perseguono interessi nazionali particolari. Tale inserimento è uno dei motivi che hanno reso in qualche modo sospetto l’ethos tradizionale del chierico descritto da Benda.

Tuttavia, credo che oggi si stia assistendo ad una rinascita dei chierici e del loro ethos. I chierici di Internet hanno rimpiazzato quelli dello stato.

[…]

Apparentemente, il nuovo universalismo di Internet lascia l’umanità divisa spiritualmente, ideologicamente, culturalmente e politicamente, anche se allo stesso tempo la unisce a livello di informazione e di tecnica. Nonostante ciò, non è tutto così semplice. I progetti universalistici noti alla storia avevano le loro radici nel tradizionale desiderio religioso e filosofico di trascendere le prospettive individuali e raggiungere una prospettiva universale aperta e pertinente a tutti. È stata la profonda sfiducia nella possibilità di un tale atto di trascendenza ad aver discreditato l’universalismo durante il ventesimo secolo. Tuttavia, è ancora possibile rifiutare una particolare prospettiva personale senza trascenderla, senza aprirsi ad alcuna prospettiva universalistica. L’atto di trascendenza è sostituito da un atto di riduzione radicale. Tale riduzione produce una soggettività priva di identità, o meglio, a identità-zero.

Si tende a percepire la soggettività come portavoce di un certo messaggio individuale e originale, come fonte di una visione del mondo unificata, come produttore di specifici significati personali ed individuali. Esiste, tuttavia, la possibilità di una soggettività priva di qualsiasi messaggio o visione del mondo individuali, una soggettività neutra e anonima che non genera nessun significato originale o individuale, nessuna opinione. In realtà, una soggettività di questo tipo non è una mera possibilità teoretica, ma una realtà al giorno d’oggi sempre più presente. È una soggettività di individui che non vogliono esprimere le proprie idee, intuizioni o desideri, ma vogliono semplicemente creare la possibilità e le condizioni affinché le altre soggettività possano esprimere le loro idee, opinioni, visioni del mondo e desideri. Li chiamerei soggetti universali: non perché essi trascendano il proprio punto di vista particolare verso uno universale, ma piuttosto perché essi semplicemente cancellano tutto ciò che è privato, personale e particolare attraverso un atto peculiare di auto-riduzione. Sono soggetti neutrali, anonimi, non i metasoggetti della teologia classica o della metafisica, ma piuttosto, per così dire, gli infrasoggetti che popolano l’infrastruttura della vita contemporanea.

Essi sono dei chierici secondo il significato attribuito alla parola da Benda, che creano le condizioni universali infrastrutturali, di network e rizomatiche che consentono ad altre persone di soddisfare i propri desideri e di realizzare i propri progetti particolari. L’infrastruttura di Internet oggi è il posto privilegiato per le generazioni attuali di chierici, che portano avanti imprese come Microsoft, Google, Facebook e Wikipedia. Anche WikiLeaks deriva dalla stessa matrice, perché non ha come obiettivo quello di trasmettere un suo messaggio proprio, ma solo i messaggi di altri, anche se ciò vuol dire trascinare questi messaggi sempre più al di fuori dei loro confini, contro la volontà dei rispettivi produttori. La soggettività del chierico non può essere decostruita poiché non costruisce alcun significato, è essa stessa un mezzo e non il messaggio. È auto-immune a ogni opinione o significato che viene percepito come indice di corruzione. I chierici sono onnicomprensivi perché sono onniesclusivi, possiedono una mentalità e un’etica di servizio pure. Possono avere i loro segreti, ma tali segreti stanno aspettando di essere rivelati come nuovi mezzi di comunicazione che saranno nuovamente aperti a tutti. Essi costituiscono, infatti, qualcosa di simile a una classe universale contemporanea priva di idee o obiettivi propri, anche nel caso questi siano universali e, al posto di esprimere le idee di questo o di quest’altra, creano le condizioni affinché gli altri possano esprimere le proprie. In ogni caso, tale operazione non può essere considerata innocente.

Supponiamo che la strategia di incorporare ogni visione del mondo esistente e ogni prospettiva culturale nella rete mediatica globale di esposizione universale sia stata un successo. Ci sono indicazioni che sostengono la possibilità di un suo successo a lungo termine. Si può dire, infatti, che Internet, assieme agli altri mezzi di comunicazione contemporanei, offre, per lo meno potenzialmente, la possibilità di evitare la censura e l’esclusione e di rendere il messaggio particolare di ognuno universalmente accessibile. Nonostante ciò, conosciamo bene il destino al quale ogni messaggio soggettivo, ogni punto di vista particolare o idea individuale è sottoposto una volta messo in circolazione attraverso i mezzi di comunicazione. Grazie a Marshall McLuhan, sappiamo già che il messaggio del mezzo pregiudica, sovverte e modifica ogni messaggio individuale che sta utilizzando tale mezzo. Grazie a Heidegger sappiamo che die Sprache spricht, ossia il linguaggio dice di più dell’individuo che utilizza tale linguaggio. Queste considerazioni incidono sulla soggettività del soggetto parlante o di colui che invia il messaggio, anche se la soggettività ermeneutica dell’ascoltatore, del lettore o del ricevente dell’informazione sembra rimanere relativamente intatta. Tuttavia, la decostruzione derridiana e le macchine del desiderio deleuziane si sono sbarazzate di quest’ultimo avatar di soggettività. La lettura di un testo, oppure l’interpretazione di un’immagine in maniera individuale affondano nel mare infinito delle interpretazioni e/o vengono portate via dai flussi impersonali del desiderio. Per mezzo della teoria mediatica contemporanea, la padronanza della comunicazione si rivela un’illusione soggettiva. Questa incapacità del soggetto a formulare, stabilizzare e comunicare il proprio messaggio attraverso i media è spesso indicata come la “morte del soggetto”.

Dunque ci troviamo di fronte a una situazione alquanto paradossale: se da un lato nella nostra epoca crediamo nella necessità di includere tutti i soggetti, con tutti i loro rispettivi messaggi particolari, nella rete dell’esposizione e della comunicazione universale, dall’altro sappiamo che non possiamo garantire l’unità e la stabilità di tali messaggi a inclusione avvenuta. I flussi d’informazione dissolvono, modificano e sovvertono ogni messaggio individuale rendendolo una sorta di aggregato casuale di significanti variabili.

[…]

In realtà, le soggettività particolari, già decostruite in teoria e sottoposte al processo di disappropriazione nella pratica, tramite Internet vengono ricostruite artificialmente come soggetti proprietari di una “sfera privata”, di un’area di accesso privato che dovrebbe rimanere nascosta agli altri. Nella nostra epoca post-decostruttiva guidata dai media, il soggetto che era considerato morto è diventato segreto. L’individuo odierno è definito in base ai codici e alle password che delineano la sua sfera di accesso, che si presume essere contemporaneamente protetta e nascosta agli altri. Tale sfera, dunque, oggi sostituisce l’unità del messaggio individuale, l’intenzione personale e autoriale, l’azione soggettiva di pensare e sentire e, così, la protezione tecnica sostituisce la certezza metafisica. Per molto tempo la soggettività era intesa come qualcosa di metafisicamente inaccessibile, qualcosa che poteva essere interpretato ma non sperimentato in maniera diretta. Oggi non crediamo più in questo lato metafisico della soggettività e così l’hacking ha preso il posto dell’ermeneutica. L’hacker abbatte i confini di una soggettività individuale che è percepita come un’area di accesso privilegiato, ne scopre il segreto e si appropria del suo messaggio, invece di interpretarlo, per poi diffonderlo e lasciare che le reti dei media lo disperdano.

In questo senso, l’attività di WikiLeaks è una continuazione pratica della decostruzione derridiana, è una prassi che libera i segni catturati e controllati dalla soggettività. Vi è solo una differenza: nel caso di Internet, non abbiamo a che fare con un controllo sui segni di tipo metafisico, ma di uno puramente tecnico e di conseguenza l’hacking prende il posto della critica filosofica. L’hacking viene spesso criticato per essere un’intrusione nella sfera privata, ma, di fatto, il telos di tutti i media contemporanei è l’abolizione completa di tale sfera. I media tradizionali non fanno che mettere ciò in pratica andando a caccia di celebrità per rivelarne le vite personali. In un certo senso, WikiLeaks fa lo stesso nel contesto di Internet e, non a caso, coopera con la stampa internazionale, come il New York Times, Der Spiegel, ecc. L’abolizione e la confisca della sfera privata (ma non della proprietà privata!) è ciò che unisce WikiLeaks ai media tradizionali. WikiLeaks può essere visto come un’avanguardia dei media. Non si ribella contro questi, ma, piuttosto, si muove in maniera più audace e veloce verso il telos comune dei media contemporanei, raggiungendo il traguardo di una classe universale, di una nuova universalizzazione del mondo attraverso i mezzi del servizio universale.

[…]

Come già detto, la prassi di WikiLeaks è spesso oggetto di discussione e critica per la sua invasione e violazione della privacy, anche se, in effetti, tale pratica non incide molto sulla privacy degli individui. Sicuramente Assange, assieme a molti altri del popolo di Internet, non crede nei diritti d’autore o, in generale, nel diritto degli individui a fermare il flusso d’informazione. La sua attività è diretta soprattutto contro quella che potremmo definire privacy statale, in quanto chiamarla censura statale sembrerebbe contraddire la promessa di universalismo che era ed è ancora fatta dallo Stato moderno. In questo senso, violare la privacy statale significa semplicemente ripristinare l’obiettivo originale dello Stato e concedergli l’opportunità di procedere verso un maggiore universalismo.

Si potrebbe dire, quindi, che WikiLeaks è un’espressione della rivolta dei chierici contro il tradimento del loro ethos e della loro vocazione universale da parte degli Stati-nazione. Dal punto di vista di WikiLeaks, tale tradimento è dovuto all’inabilità degli apparati statali esistenti a diventare realmente universali ridefinendo i loro interessi nazionali secondo una prospettiva universale. Ma qui sorge il dubbio: un universalismo radicale e senza compromessi è davvero possibile? La risposta è sì, ma a una condizione: l’universale deve diventare isolato e protetto dall’universo di particolarità che lo corrompe continuamente.

E, di fatto, per rimanere veramente universalistico, ogni progetto universale dovrebbe essere protetto dalla corruzione, ovvero dagli interessi privati e particolari che potrebbero compromettere il suo universalismo. Tuttavia, se un progetto universale è stato progettato per essere aperto e accessibile al pubblico, diventa necessariamente corrotto poiché è inevitabile che la realizzazione di tale progetto comprenda compromessi con le istituzioni esistenti e interessi privati. L’unica maniera per evitare la corruzione, per conservare l’universalismo di un progetto universale mantenendo intatta la sua realizzazione, è quella di separare lo stesso progetto dal mondo esterno nella maniera più radicale possibile, ossia rendendo il progetto inaccessibile al pubblico. Oppure, in altre parole, l’universalismo può funzionare nel nostro mondo di particolarità solo attraverso la forma della cospirazione e solo secondo le condizioni di perfetta inaccessibilità, non-trasparenza e oscurità, altrimenti verrebbe immediatamente tradito e corrotto.

La dimensione cospirativa dell’universalismo è storicamente ben nota. La politica della cospirazione ha caratterizzato tutte le sette religiose e i gruppi rivoluzionari a pretesa universale ed è stata criticata di volta in volta nel nome dell’apertura, della democrazia e dell’accesso pubblico universale. Tali critiche hanno trovato le radici della loro rigorosa politica di cospirazione ed esclusione primariamente nel carattere limitato ed esclusivo delle ideologie professate dalle sette religiose individuali o dai gruppi rivoluzionari, oppure, in altre parole, nella loro dedizione alla nozione di verità universale. Ogni verità professata da queste sette o gruppi rivendicava il suo universalismo, ma allo stesso tempo, rimaneva particolare poiché fin dal principio veniva definita in opposizione ad altre verità con la stessa pretesa universale. In tale paradosso di verità universale veniva trovata la ragione per delle cospirazioni motivate da ideologie e per la politica di esclusione. Di conseguenza, il rimedio considerato era quello di rifiutare la nozione di verità universale in quanto tale e di sostituirla con una pluralità di identità e prospettive che, presumibilmente, non avrebbe portato a nessun conflitto radicale, perché nessuna di queste identità e prospettive aveva in sé una pretesa di universalismo che avrebbe potuto provocare un conflitto reale tra le stesse. Si tratta della ragione politica che sta alla base della sostituzione dell’idea universale, o verità universale, con l’accesso e il servizio universale.

Tuttavia oggi la prassi di WikiLeaks ha dimostrato che anche l’accesso universale può essere fornito solo sotto forma di cospirazione universale. Nella stessa intervista, Assange ha affermato,

Non si trattava solo di una sfida intellettuale per creare e violare questi codici crittografici e per connettere assieme le persone con nuovi metodi, ma, piuttosto, la nostra volontà derivava da una nozione di potere alquanto straordinaria: quella secondo la quale, con un po’ di calcoli matematici ben studiati, si potesse, in maniera molto semplice (e ciò sembra complesso in astratto, ma è semplice se riferito alla capacità dei computer), rendere ogni individuo capace di dire no allo Stato più potente. Quindi, se io e te ci mettessimo d’accordo su un codice crittografico particolare, efficace a livello matematico, le forze di qualsiasi superpotenza concentrate su quel codice non riuscirebbero a violarlo. Uno Stato, dunque, può bramare di agire contro un individuo, ma in realtà non gli è possibile farlo: in questo senso, la matematica e gli individui sono più forti delle superpotenze.

Assange ha continuato poi descrivendo la possibilità di un nome per un URL che potrebbe proteggere il proprio contenuto più efficientemente in confronto alle norme sul diritto d’autore convenzionali.

In altre parole, l’accesso pubblico universale è possibile solo quando i mezzi che garantiscono tale accessibilità sono essi stessi completamente inaccessibili. La trasparenza si basa sulla non-trasparenza radicale. L’apertura universale si basa sulla chiusura più perfetta. WikiLeaks è un primo esempio di una cospirazione post-moderna reale che opera oltre ogni pretesa di verità, sia essa universale o particolare e, allo stesso tempo, dimostra che l’accesso universale è possibile solo sotto forma di cospirazione universale. Non a caso, nei suoi testi e nelle sue interviste, Assange fa continuamente riferimento a Solzhenitsyn come principale fonte di ispirazione e, in effetti, tutto l’operato di Solzhenitsyn può essere descritto come un’intelligente combinazione di cospirazione e pubblicità. Al pari di molti altri dissidenti sovietici, aveva scoperto che la stampa internazionale era una fonte di potere equiparabile al potere dello stato sovietico. E, sempre al pari di altri dissidenti, per lo meno durante l’epoca sovietica, non aveva professato alcuna ideologia, ma voleva semplicemente offrire una testimonianza. Voleva fornire un accesso a ciò che veniva nascosto, ma per fare ciò doveva essere altamente cospirativo, al pari degli altri dissidenti.

Ora la traiettoria di WikiLeaks diventa comprensibile: essa interpreta e incarna il servizio universale come cospirazione e la cospirazione come servizio universale e ciò mette in pericolo WikiLeaks stesso ed i suoi membri. Già negli anni Trenta, Alexandre Kojève aveva proclamato nelle sue famose lezioni su Hegel che la storia delle visioni universali era terminata, che l’essere umano aveva smesso di essere un soggetto di verità ed era diventato un animale sofisticato con interessi e desideri particolari. Secondo Kojève, ciò significava che il modo di vivere post-storico escludeva la possibilità di rischio sostanziale, in quanto tale possibilità sorgeva solo come risultato di un impegno soggettivo per la verità universale. Infatti per Kojève, l’unico modo di rimanere un filosofo dopo la fine della storia era quello di entrare nel servizio universale nella forma della Commissione Europea. Kojève aveva capito che il percorso del servizio e dell’amministrazione universale era un percorso sicuro. WikiLeaks e lo stesso Assange hanno dimostrato che il percorso del servizio universale può anche comportare dei rischi notevoli: diventando dissidenti del servizio universale, hanno creato una nuova forma di rischio, o meglio, hanno tematizzato tale rischio e l’hanno reso esplicito impegnandosi nel servizio e nell’amministrazione universale come forma di cospirazione fin dal principio. Si tratta di una reale innovazione storica e ci si può aspettare che tale novità avrà delle conseguenze interessanti.

[1] Brazil, Terry Gilliam, Regno Unito 1985.

[2] Groys B., In the flow, Verso, Londra 2016.

[3] Ibid, cap. 11.

[4] Ibid.

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