Ricominciamo da un racconto di Marguerite Duras, La malattia della morte. L’avrà pagata – «potreste averla pagata», certamente – ma non sarà stata, in ogni caso, una prostituta («Le chiede se è una prostituta. Fa segno di no»). Al contempo, però, nulla andrà senza un contratto, con le sue pattuizioni, gli accordi, le condizioni: «vorrei dormire sul sesso quieto», «vorrei penetrare anche là», vorrei provare, provare cosa? «Risponde: ad amare». «Dice la cifra». «Lei accetta». Ma se non c’è prostituzione – ed è questo l’aspetto essenziale – allora come sarà stato possibile un contratto?
Non vi saranno “prestazioni” sessuali se non contro denaro, «il contratto delle notti pagate», ma, allo stesso tempo, non vi sarà nulla che faccia di lei una prostituta, che faccia di voi un cliente. Se lei ha accettato, se c’è contratto, è perché «fin dall’inizio lei ha intuito, senza saperlo chiaramente, che, incapace di amare, lui non può avvicinarsi a lei se non in modo condizionato, in seguito a un accordo» (Blanchot). Neppure dal lato maschile, dunque, vi sarà un contratto di prostituzione: non si tratterà mai di consumare un rapporto sessuale, a fronte di un pagamento. Piuttosto, Lui paga per avere un rapporto sessuale. Per Lui, cioè, non ci sarà rapporto possibile se non attraverso il denaro, attraverso l’attivazione dei protocolli – linguistici, simbolici, giuridici ed economici – dello scambio. Solo per il contratto, solo a forza di pattuizioni, accordi, trattative, potrà esistere il rapporto sessuale. Il contratto costituisce (e non semplicemente ricompensa) il rapporto sessuale, la sua condizione di possibilità.
Ci sarà stato un rapporto sessuale, dietro pagamento: tale è la prostituzione. Ma essa è possibile solo in quanto il diritto, il linguaggio giuridico (che è sempre linguaggio maschile) ha già messo in discorso il rapporto sessuale come tale, ha già reso possibile, nella sua logica interna, affermare, dire il rapporto sessuale, dire che esiste il rapporto sessuale. E, per il diritto, il rapporto sessuale non esiste a sua volta che come contratto, accordo di volontà – e dunque come scambio, come economia dello scambio. Per il diritto, una donna non potrà mai essere altro che pagata – senza che per questo vi sia giuridicamente prostituzione. Il che significa: è solo attraverso il contratto, la sua logica, l’accordo, le condizioni, la fissazione di reciproci diritti ed obblighi, che vi sarà rapporto sessuale.
Tutto, da adesso, passerà da qui: la differenza tra il godimento e la violenza, tra il rapporto “consenziente” e lo stupro, sarà sempre e soltanto una differenza di diritto. Si tratterà sempre di accertare il diritto – avrò avuto il diritto ad abbracciarti, a penetrarti, a toccarti? Altrimenti sarà violenza, e non ci sarà stato, propriamente, rapporto (sessuale). Per il lato maschile, non c’è rapporto sessuale senza diritto – altrimenti sarebbe “violenza”, stupro. Ma proprio per questo, non ci sarà rapporto sessuale se non in una logica del contratto (che è, in definitiva, la stessa logica della prostituzione).
Il divenire-donna non ci insegnerebbe (ma senza mai insegnarlo, sempre in un non-sapere, perché Lei non sa nulla, «la donna stessa non sa»), invece, a pensare una sovversione, una trasgressione impensabile per il diritto? Un rapporto sessuale senza-diritto? «La donna sarebbe sempre pronta, consenziente o meno. E’ su questo punto preciso che voi non sapreste mai nulla». Testo pericoloso, che non cessa di inquietarvi, a voi che lo leggete: cos’è questa indifferenza, questo venir meno del consenso – che pure non porta ad alcuna violenza, ad alcuno stupro? Ecco che Lei si esporrebbe al rischio, all’impotenza di un corpo senza-difesa, senza-diritto: «invoca lo strangolamento, lo stupro, le sevizie, gli insulti, le grida d’odio, lo scatenarsi delle passioni assolute, mortali».
Sono qui, guardami, fai ciò che vuoi:
«Sono qui, guardi, sono da davanti a lei».
«Non vedo nulla».
Guardami, ma guardami senza-diritto, agisci al di là di ogni diritto, al di là di ogni discorsività giuridica. E Lui non potrà farlo: senza il diritto che dica il suo diritto – e che dunque gli consenta anche di trasgredirlo, di violarlo – , lui non vedrà nulla. «Non vedo nulla». La donna risponde: «Provi a vedere, è compreso nel prezzo che ha pagato». Come osserva Blanchot, questa «intimità dall’esterno inaccessibile» è, per l’uomo, impensabile: la «visibilità assoluta» cui lei si espone «è la sua evidenza invisibile».
Il diritto, diremo, non è un velo che occulti, che copra, che nasconda, qualcosa che, altrimenti, potremmo vedere in tutta la sua visibilità. Al contrario: il diritto vela, copre quella visibilità assoluta che è l’invisibilità, copre il fatto che, dietro il velo, non vi è nulla che il maschio possa riuscire a guardare. Il diritto è la realtà che vela il reale, dove il reale è il niente delle cose, il niente che ogni cosa è: insopportabile per il maschio, questa «perfezione indelebile della singola contingenza», il suo non somigliare a nessuno. Per questo il diritto è essenzialmente maschile ed omosessuale: ama lo stesso, ama l’identità; laddove non c’è scrittura e non c’è amore se non nell’eterosessualità, nell’amore dell’altro, della differenza, dei «generi inconciliabili, il maschile e il femminile», come scrive Duras (e la logica lacaniana è la stessa: «per definizione diciamo eterosessuale quello che ama le donne, qualunque sia il suo sesso»).
La logica maschile – che non è altro che il logos, la normatività, il linguaggio – può vedere la donna solo attraverso il discorso giuridico che la costituisce. Dietro il “velo” del diritto, non c’è nulla, non vede nulla. Non c’è alcuna donna. E’ impensabile, per il lato maschile, il rapporto sessuale che si scriva al di là, nella sovversione della scrittura giuridica, dei diritti e degli obblighi: sei mia, sono tuo, ho il diritto di toccarti, ho l’obbligo di avere il tuo consenso, etc. Solo il linguaggio del diritto rende pensabile, per il maschio, il “rapporto sessuale”. Accade lo stesso nel film di Truffaut, L’homme qui aimait les femmes. Bertrand sarà sempre ossessionato da questa domanda, non cercherà altro che una sola risposta: J’ai le droit de poser mes mains là? De vous toucher? (ripeterà questa battuta per tre volte, nel corso del film). Sarà l’unica donna che lo ha fatto soffrire, Vera, l’unica donna che forse ha amato, a rivelargli che egli ha sempre fallito il rapporto sessuale: – Adesso però non ho più il diritto di toccarti. – Più il diritto? Ti esprimi come il codice civile. Il contratto – la logica giuridica –, in ultima istanza, costituisce il rapporto sessuale ma solo alla condizione di renderlo impossibile, di farlo sempre fallire.
Questo testo «misterioso», «irriducibile» di Duras, insegnerebbe allora – ma, lo si ripete, in un insegnamento senza sapere – ciò che per il diritto è l’impensabile: che il rapporto sessuale, se mai vi sarà, sarà possibile solo in una scrittura senza-diritto. Ecco l’impensabile: non c’è diritto al rapporto sessuale, non c’è consenso, accordo, volontà, da cui esso dipenda o che lo costituisca. Una scrittura misteriosa, certamente, tanto che noi che la leggiamo, che cerchiamo di seguirla, non riusciremo mai a capire per dove passi, allora, la differenza tra il sesso e lo stupro, l’amore e la violenza – eppure Duras non sta che scrivendo questa differenza, tanto che lo stupro è, qui, impossibile, ogni violenza esclusa.
Ma la nostra lettura procederà sempre, ancora, dal lato maschile: per questo non vediamo alcuna differenza, non vediamo nulla. La donna è la differenza: il niente della differenza, ciò che il diritto mancherà sempre. Questa donna senza-nome, senza-diritto, sa, senza mai saperlo, la nostra malattia mortale. Essa è, forse, il non aver mai amato. Ma cosa significa? Significa la nostra impossibilità di pensare il rapporto sessuale «contro ogni legge», con la legge stessa, la legge dell’identico, dell’equivalente, del contratto: come sarebbe pensabile un rapporto sessuale senza-diritto, senza che esso dipenda dal consenso, dall’accordo, dalla volontà, e che pure sia, al contempo, quanto di più lontano dalla violenza, dal “dominio” dell’uomo sulla donna?
Lei lo dirà: l’amore non potrà sopraggiungere, forse, che «da una falla improvvisa nella logica dell’universo». Forse da un errore, da un sogno, da un crimine, da una parola. In ogni caso, «mai da una volontà». In ogni caso, «senza sapere come». Nessuna volontà, dunque, per questo sentimento «al di là di ogni sentimento» che «supera la coscienza, rompe con la cura di me stesso ed esige senza diritto quanto si sottrae a ogni esigenza» (Blanchot).
L’amore – scrive Duras – sarà stato possibile solo perdendolo prima che accadesse. I testi segreti portano la scrittura a questo limite: «Quell’amore sta nell’impossibilità di essere scritto. È un amore non ancora raggiunto dalla scrittura. È troppo forte, più forte di quelle persone». Questo è il movimento stesso del testo letterario, che si scrive sempre contro la realtà (che è sempre giuridica): solo laddove fallisce il rapporto, dove non accade, dove il diritto non riesce più a scriverlo – perché non c’è più contratto, scambio, accordo, volontà a contare –, allora l’amore è stato scritto, pur senza poter essere scritto (per questo nel libro «non è successo nulla, perché nulla accade»). Si dovrà perdere quanto non si è mai avuto – perché non c’è avere possibile, perché non si ha mai un rapporto sessuale.
Una scrittura femminile – che sarebbe sempre il divenire-donna, il divenire-rivoluzionaria di ogni scrittura, la sua lotta contro il linguaggio attraverso il linguaggio stesso – non potrebbe che passare da qui, anzitutto: dal rapporto sessuale senza-diritto. Nel sottrarsi stesso della scrittura, nell’amore che la scrittura non raggiunge mai, ci sarà stata la scrittura del rapporto sessuale che è la sua stessa impossibilità di scriversi, che è il suo stesso fallimento, che è ciò che è perduto prima che possa essere stato – «non c’è rapporto sessuale» non afferma altro che questo: non c’è, ossia non è mai qualcosa di essente, una cosa, una sostanza, ma, appunto, “rapporto”, il niente che accade tra le cose. E non c’è letteratura se non a partire da questo niente che, per esser detto, disdice il linguaggio («Le langage se révèle en définitive incapable d’exprimer l’expérience sexuelle telle qu’elle relève d’un non-savoir», osserva Lahouste). Nello stesso tempo, non c’è linguaggio – linguaggio giuridico, ordine del discorso – se non dal lato maschile, da quel dire che afferma (e dunque costituisce) che c’è qualcosa, che c’è rapporto sessuale, anziché niente. Non ci sarà “opposizione” tra questi due movimenti (la scrittura e il linguaggio, il femminile ed il maschile, la sinistra e la destra), come se essi fossero identificabili, indipendenti e sussistenti ciascuno per sé – l’uno non si dà senza l’altro o, ancor meglio, la loro differenza è senza-differenza: la scrittura è il fallimento che il linguaggio stesso è, è la differenza che esso stesso è, il reale che costituisce la realtà.
Se, qui, verrà in gioco una pratica, se ci sarà una pratica misteriosa e inconfessabile che la scrittura di Marguerite Duras insegna senza alcun sapere, non sarà che una pratica della sovversione del diritto – riusciresti davvero godere del mio corpo senza averne il diritto? Perché non la violenti, non la uccidi – perché non ci riesci? (Forse perché, per Lui, non c’è violenza se non come “negazione”, trasgressione del diritto? Forse perché, nella visibilità assoluta di ciò che è senza-diritto, egli non vede più nulla?). Eppure ci sarà bisogno, ancora, di un contratto, affinché il racconto cominci, affinché esso si possa scrivere: altrimenti, Lei non potrebbe essere lì. Perché una scrittura senza-diritto non sarà mai senza il diritto, perché è lo stesso movimento, è la differenza che non c’è: il senza-diritto non è l’altro (a sé stante, indipendente) dal diritto, ma è il fallimento che il diritto stesso è, è l’alterità che il diritto è, il senza-diritto del diritto.
Testi di riferimento: M. Duras, Testi segreti, trad.it. di R. Postorino, Nonostante, 2015; M. Blanchot, La comunità inconfessabile, trad. it. di D. Gorret, Milano, SE, 2002; C. Lahouste, Emprunter la «route aveugle». L’acte sexuel chez Marguerite Duras, in «Bulletin de la Société Internationale Marguerite Duras», 2, 35, 2014, pp. 189-203; A.-M. Picard, M.D., cette maladie contagieuse, in A. Saemmer – S. Patrice (a cura di), Les lectures de Marguerite Duras, Lyon, Presses universitaires de Lyon, 2005, pp. 201-212; J.-L. Nancy, Il “c’è” del rapporto sessuale, Milano, SE, 2002; M. Barbuto, Alle soglie del dicibile, in M. Mazzotti (a cura di), Stili della sublimazione. Usi psicoanalitici dell’arte, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 35-41; F. Garritano, Aporie comunitarie. Sino alla fine del mondo, Milano, Jaca Book, 1999.
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