Perché filosofare ancora oggi? Le possibili risposte a tale domanda, per coincidere in qualche modo con la filosofia occidentale, non sono assolute ma già il dirsi “oggi” ne attesta il luogo di applicazione. Seppur la sua funzione necessitante sembra quasi smarrita dall’esplosione mass-mediologica, rimane comunque la possibilità presente della filosofia e, forse, la sua prospettiva futura. A siffatti progetti già il porsi delle domande e il tenere alta la posta in gioco affinché ne valga la pena, rendono inesauribile il lavoro della filosofia. Nel Timeo, Platone definisce la filosofia come un “massimo dono”: essa non deve solo scaldare i cuori dei filosofi, bensì anche chiarire il compito “etico” della filosofia come infinita ricerca, difficile perché trae senso dalla propria impossibilità. La consapevolezza “im-possibile” del suo farsi nasce da un lungo processo storico e con ciò la prassi filosofica, legata alla sua storicità, è definibile come assoluta alterità, nei confronti dell’esistenza e della sua temporalità.  In Essere e tempo, è centrale il tema della temporalità dell’esserci, e Heidegger scrive: “(..)il nuovo corso della filosofia, la cui necessità deriva dalla centralità della scienza nel mondo contemporaneo e, prima di tutto, dal mutamento da essa subìto, grazie alla tecnica, da schema della contemplazione in schema della produzione e della trasformazione del mondo[1].  Su questo versante heideggeriano, si inserisce un’altra questione fondamentale, ossia la differenza di genere stabilita dal costituirsi della scienza, uno strappo rispetto alla filosofia, già legittimata e conferita di normatività positiva nell’empirico, vale a dire il progresso nel reale.  E, questo, non già solo per l’ovvia contestazione che vuole gli scienziati privi di filosofia, in realtà preda della filosofia peggiore (inconsapevole); ma dalle differenti forme dello stesso genere “filosofia”, come genere autonomo ed irrimediabilmente frammentato. D’altronde, l’essenza delle cose non è nella loro origine, la filosofia muta e si dispiega nel tempo rispetto ai suoi inizi. La trasformazione non è riferita ad una evoluzione o involuzione, ma al “dato” che costituisce una struttura come fondamento delle sue coordinate interpretative: valori morali, estetici, speranze e angosce delle esistenze individuali.  Il riferimento alla storia del tempo e al processo di secolarizzazione è inevitabile, delineando certe questioni cruciali al pensiero e alla sua connessione con l’altro da sé. Il tempo, come il pensiero, come il soggetto, non può smarrirsi sotto il peso di un passato omogeneo, né dispiegarsi nei sogni di una futura progettualità. Ci si chiede allora, dove finisce il futuro, o meglio, l’avvenire di ciascuno di noi? Heidegger tenta una risposta: “L’avanti-a-sé si fonda nell’avvenire” cioè “l’avanti non significa un oltre ora nel senso di un ora non ancora ma poi si”[2].

*

heidegger disegnoE’ a questo punto che interviene l’idea dell’essere come a-venire non assicurato, soggetto alla possibilità del nulla, potrà essere annientato dalla presenza di un orizzonte che accoglie lo slancio riflettendolo all’indietro. Questo atteggiamento heideggeriano lascia un abisso e una certa “insicurezza” nella propria esistenza, rischiando la disperazione e la rinuncia ad una aspirazione, ad una responsabilità o ad un destino. Giuseppe Semerari, nella Introduzione ad Insecuritas, Tecniche e paradigmi della salvezza (testo del 1982 ma per certi versi attuale su alcuni temi) de-costruisce il pensiero heideggeriano e il ruolo che assegna alla filosofia è nella possibilità di passaggio dalla assunzione della insicurezza esistenziale ad un percorso verso “tecniche di rassicuramento” che tendano ad un rapporto razionale con la natura e con gli altri, quindi un rapporto all’interno del quale sia possibile partecipare in maniera responsabile. Si tratta, dice Semerari in Strategie del rassicuramento umano, di una filosofia che ritrovi il proprio fondamentale rapporto con la insecuritas, un tentativo dall’insicurezza alla sicurezza, ossia come possibilità del venire ad essere della responsabilità. L’importanza al ruolo della filosofia che non detiene eterni valori, ma è l’individuo ad essere un “universale”, perché necessita di cura, “pure la filosofia può fallire” sottolinea Semerari, impazzisce senza promesse future e i percorsi dell’essere umano non portano in alcun posto se si perdono “nell’intricato e sterminato bosco dell’insecuritas senza vie d’uscita[3].  Non esiste un tempo dell’essere ma il tempo del venire ad essere a partire dall’uomo e dalla donna, tempo umano che è contingente della irreversibilità e della finitudine. La “cura” intesa da Semerari non simboleggia solo i bisogni primari tra cui l’accudimento o l’accompagnamento, bensì una Cura che connota la vulnerabilità della condizione umana e il richiamo ad un sostegno, ma anche, definire se stessi nella capacità di “prender-si cura”. La relazionalità all’interno della cura, fonda anche il rispetto dell’autonomia e del diritto di ciascuno, incluso il diritto alla cura. La cura non è solo terapia, ma è anche una delle tante modalità di rapportarsi all’alterità: Heidegger non intendeva il solo prendersi cura delle cose del mondo, ma aver cura degli altri, in maniera autentica, nel loro percorso libero di esseri-nel-mondo; questa forma di partecipazione è emozione e sentimento, oltre alla “gettatezza” nello stare assieme tra “atti particolari o di tendenze, come il volere, il desiderare, l’impulso o l’inclinazione”[4]. In questo Semerari in Insecuritas ripensa al termine filosofia, non genericamente come amore ma, più dettagliamente, come desiderio e ricerca, un comportamento agente che richiede l’essere in tensione, rivolgendosi alla sicurezza piuttosto che alla verità. Esistono “frammenti” temporali, qui ed ora, che nell’atto di com-prendersi all’in-finito, riconoscono anche il senso della filosofia. Se oggi ci sentiamo sempre meno assoggettati a una morale basata su principi indiscutibili e universalmente validi, forse è proprio questo che rende urgente l’esigenza di una nuova etica della cura di sé[5]. Per Zygmunt Bauman, la postmodernità rappresenta una insecuritas legata ad una indifferenza reciproca degli uomini e delle donne, infatti scrive che “abbiamo perso l’umanità, il fascino e il calore che i nostri antenati esibivano con naturalezza[6]”, inoltre minacce e pericoli sembrano colpire “le vittime separatamente”, come se dovessero essere subiti in solitudine”. D’altronde, le sofferenze individuali non sono più sincronizzate, le catastrofi “scelgono” a quale porta bussare, siamo isolati e i nostri tormenti, afferma Bauman, lacerano “il tessuto delicato delle solidarietà umane”. I sogni rassicuranti di Semerari non coincidono più con questo “futuro-minaccia” che è l’epoca del “non ancora”. Per quante difficoltà ed ostacoli presenti il superamento della situazione dell’indifferenza, occorre anche evitare che tali difficoltà e ostacoli possano essere fatti giocare come alibi per non agire. Infatti nelle parole di Bauman, per quanto sia vero che “la prospettiva di agire moralmente in un tipo di mondo che promuove e incoraggia attivamente l’egoismo e non è particolarmente propenso alla condotta morale, alla cura degli altri, sia vicini che lontani, e resta quindi sordo allo spirito di fratellanza che si basa sull’accettazione della reciproca responsabilità”  simile a Semerari, l’agire morale individuale rimane limitata e non realizzerebbe alcun cambiamento essenziale dell’esistente. Bisognerà allora usufruire della riflessione, costruire forme di collettività e delineare spazi politici di relazione, confronto e con-divisione. Per concludere con Platone, se la filosofia come eros rifugge “dalla solitudine che è morte”, allora “l’io ritrova la possibilità del colloquio con il tu e il loro dialogare si potenzia” nel senso vivo e “immediato del noi. La riscoperta della filosofia è riscoperta della vita”[7].

Note.

[1] Heidegger, Sein und Zeit, tr.it. di P.Chiodi, Essere e Tempo, UTET, Torino 1969, p. 32. Cfr. Semerari, Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali, 1982, cit., p.166.

[2] Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 167.

[3] Semerari, Strategie del rassicuramento umano, Fasano 1992, cit. p.29

[4] Heidegger, Essere e tempo,cit. tr. It, p.476

[5] Su questo tema, Foucault, La cura di sé, in particolare il capitolo L’ermeneutica del soggetto, a cura di F.Gros, Feltrinelli, Milano 2003, cit. pp. 238-253

[6] Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2004, pp. 60-61

[7] Simposio, Platone cit. da Semerari in Insecuritas, p.35.

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here